Nell'ambito della critica letteraria, raramente avviene che il critico si possa concedere una lacrima di commozione e riconoscenza, perché la lettura professionale di un testo impone l'esercizio della lucidità e la messa tra parentesi delle emozioni personali.
Quando però ci si trova di fronte al racconto di una vita così densa di sofferenze e nel contempo così vibrante di gioia e di gratitudine per l'esistenza stessa, pur con tutte le sue storture e a volte i suoi orrori, commuoversi e lasciarsi trascinare dalla forza interiore e dalla bellezza di un'anima diventa un dovere. Verso se stessi innanzi tutto, poiché si comprende che dalla narrazione che si sta analizzando si sta ricevendo un insegnamento che vale più di qualsiasi titolo, anche accademico, con il dovuto rispetto verso una dimensione aulica che è comunque necessaria e imprescindibile per l'esercizio di questa attività.
E' dunque con profonda partecipazione dell'anima che ci deve accostare a questo breve ma densissimo testo di narrativa, ascrivibile al genere biografico, a opera di Anna Maria Folchini Stabile e di Annamaria Stroppiana Dalzini, per i tipi di TraccePerlaMeta Edizioni (2013).
L'opera ricostruisce la vicenda umana e artistica di Valeriano Dalzini, pittore e restauratore milanese di origini mantovane, che ebbe la mala ventura di far parte del novero di quei bimbi nati da famiglie italiane trasferitesi in Libia al tempo delle sciagurate imprese di conquista mussoliniane.
Questi piccoli vennero sottratti alle famiglie per sette lunghi anni, con il pretesto di portarli in vacanza in Italia, dove avrebbero ricevuto un'educazione fascista improntata all'addestramento di tipo militare.
Era il giugno del 1940, e dodicimila tra bambini e bambine vennero coinvolti nelle tragedie della Seconda Guerra Mondiale: quando il conflitto ebbe inizio, invece di essere riconsegnati ai loro genitori in Tripolitania, rimasero in Italia, costretti a vivere di stenti e di carità, perché nessuno si prese cura di loro.
Fu solo grazie all'intervento della Chiesa se poterono salvarsi e sopravvivere, sia fisicamente sia psicologicamente e, nel tempo, tornare alle loro famiglie.
La particolarità di questo libro è, dal punto vista compositivo, la duplicità della narrazione: la prima parte, scritta da Annamaria Stroppiana Dalzini, è volutamente allegorica e alleggerita del peso insopportabile del dolore e della solitudine patita dal protagonista; consiste in una favola deliziosa che permette di far comprendere ai bambini di oggi che cosa hanno dovuto subire i loro coetanei di un tempo.
La seconda parte è una narrazione di tipo storico, ma condotta attraverso il filtro del dialogo tra Anna Maria Folchini Stabile e il protagonista della vicenda, Valeriano Dalzini, che si racconta, o meglio, data la sua estrema e pudica riservatezza, si lascia raccontare.
In entrambe le versioni del racconto, quella destinata ai più piccoli e quella per le menti mature, emergono le parole-chiave che esprimono l'orrore e il degrado umano generato dalla guerra. Fame, fame e poi ancora fame. Quanta fame ha provato il piccolo Valeriano. E poi freddo. Tanto freddo, perché i vestiti erano cenci e le scarpe non c'erano.
E dopo queste atroci immagini di miseria, dalle pagine che si susseguono in una fluidità sapiente ecco emergere un lessema che la disumanizzazione indotta dal regime e dal sangue che scorreva in quegli anni lontani non è riuscita a cancellare: il talento.
Quella peculiarità che ciascuno possiede e che lo caratterizza, in maniera indelebile.
Il talento di Valeriano è indiscutibilmente la capacità artistica, che ne farà uno dei più grandi restauratori italiani; ma i doni della sua personalità sono così tanti che è difficile elencarli.
Egli dichiara che per sopravvivere a quanto gli è accaduto nell'infanzia si è aggrappato a due dimensioni: alla fede e all'arte.
E da quest'arte così limpida e nitida nel tratto, così abile nello spaziare dalla raffigurazione corporea classica all'astrattismo e così ben calibrata nelle forme e nei colori, emerge il ricchissimo mondo delle emozioni taciute per anni e fatte riemergere in una grazia composta che diviene inno alla vita.
La fede di Valeriano è semplicemente esemplare: fede in se stesso e nelle proprie passioni, attraversando la povertà con un decoro inimmaginabile, che gli procura la stima di docenti ed esperti; fede nella vita, che rispetta e celebra continuamente, con un'arte che trasmette serenità e armonia; e fede in quel Dio invisibile che è presente negli uomini e in particolare negli ultimi, a cui mai questo grandissimo uomo ha fatto mancare l'aiuto, divenendo accompagnatore umile e silenzioso ma sempre sorridente degli infermi pellegrini di Lourdes.
Altre bellezze di quest'anima è giusto tacerle, per lasciare al lettore il piacere di scoprirle e d'incontrare tra le righe anche il nucleo familiare di Valeriano oggi: la sua straordinaria consorte Annamaria e i due figli esemplari Laura e Stefano.
Questo libro è pienamente degno di figurare tra le letture scolastiche e formative di ogni ordine e grado; contiene insegnamenti morali mai come oggi indispensabili sia a chi si affaccia alla vita e ha bisogno di una guida, sia a chi è maturo e spesso cede allo sconforto per le contraddizioni dell'epoca in cui viviamo.
Tante sono le lezioni che ci offre il Maestro Valeriano, oggi sofferente e ottuagenario, ma sempre appassionato del mondo come un ragazzo: tra queste, la fiducia nella sostanziale bontà della vita e l'invito a non competere mai con gli altri, e a desiderare sempre e incessantemente d'imparare e di coltivare il coraggio e l'umiltà di cambiare per migliorare noi stessi.
Brescia, 7 dicembre 2014
Ilaria Celestini
Critico Letterario, poetessa e scrittrice
Direttore Collana Narrativa TraccePerLaMeta Edizioni